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Stretta sul Credito: per Confindustria Colpa dello Spread

Spread Italia-Germania

Lo “spread”, questo ormai fin troppo conosciuto! Negli ultimi tempi si sente spesso usare il termine inglese “spread”, che tradotto letteralmente significa “scarto” o “differenza”. Ma differenza tra cosa e cosa? Spiegato in modo semplice, l’accezione nella quale viene usato più spesso ultimamente si riferisce alla differenza di rendimento esistente tra i titoli di Stato della Germania, chiamati anche Bund, e quelli degli altri Paesi europei.


Calcolando la differenza tra il rendimento a scadenza, ad esempio, di un Btp a 10 anni italiano e quello di un Bund a 10 anni si ottiene lo spread, espresso in punti base o, per dirla ancora all’inglese, “basis points”. Un punto base corrisponde a un decimo di millesimo di valore. Quindi, per esempio, se lo spread Btp-Bund è a 300 punti base, significa che c’è una differenza di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi corrispondente al 3,00%. Considerando che il maggior rendimento di un titolo è associato a un rischio-Paese maggiore, si capisce l’importanza che questo “spread” assume nell’attuale sistema finanziario.

Proprio partendo dalla rilevanza attribuita allo spread, il mese scorso Giuseppe Mussari, Presidente dell’ABI, in occasione dell’Assemblea annuale dell’associazione di cui è a capo (leggi qui per un approfondimento), ha fatto notare come gli elevati livelli raggiunti negli ultimi mesi dallo spread esercitino un’influenza estremamente negativa in relazione alla concessione di prestiti alle famiglie e finanziamenti alle imprese. Al crescere del valore dello spread aumentano anche i tassi applicati dalle banche e si acuisce la stretta sul credito, con il risultato di determinare una minor crescita economica generale.

Questa considerazione sembra trovare pienamente d’accordo anche Confindustria, la principale organizzazione che rappresenta le imprese manifatturiere e di servizi in Italia.
Infatti, in una nota diffusa dal Centro Studi Confindustria (CSC), datata 19 Luglio 2012 e a cura di Luca Paolazzi e Ciro Rapacciuolo, viene evidenziato innanzitutto come siano eccessivi gli attuali livelli degli spread dell’intera Eurozona e in modo particolare dell’Italia, in considerazione dei fondamentali economici dei vari Paesi.
Relativamente all’Italia, l’indagine condotta dal CSC mette in evidenza come sia di oltre 300 punti base il differenziale aggiuntivo tra i rendimenti del Btp e del Bund a 10 anni. In realtà lo spread dovrebbe attestarsi sui 164 punti base, considerando i divari tra Italia e Germania relativi al debito pubblico e alla crescita economica.
In riferimento alla difficoltà legate all’ottenimento di un prestito o un finanziamento e al calo generalizzato del credito, evidenziato da tutte le indagini condotte negli ultimi mesi, una delle spiegazioni può essere rintracciata proprio nell’eccessivo spread. Infatti, nella nota del CSC si legge: “…tale eccesso (di spread, ndr) si ripercuote sul costo del denaro pagato da famiglie, imprese e banche, accentua considerevolmente il credit crunch e, provocando la nuova e violenta recessione in atto, infligge gravosi e controproducenti costi economici, sociali e politici”.

Stando ai calcoli del Centro Studi Confindustria questo eccesso di spread provoca perdite dello 0,9% del Prodotto Interno Lordo (PIL), la perdita di 144.000 posti di lavoro e maggiori oneri riferiti agli interessi, che ammontano a 12,4 miliardi di euro in riferimento al bilancio pubblico, a 12,1 miliardi di euro per i conti delle famiglie e a 23,7 miliardi di euro per i conti delle imprese.
Questa situazione determina l’abbattimento del potenziale di crescita futura e soprattutto rende vani gli sforzi attuati con le politiche di risanamento e riforma strutturale, intaccando pesantemente il consenso a favore delle riforme stesse. La conseguenza è quindi una sola: i sacrifici non vengono premiati con un abbassamento dei tassi ma accentuati dall’andamento al rialzo dello spread, che risente dell'”effetto contagio” tra Paesi in crisi e delle decisioni prese a livello europeo.
La soluzione suggerita nella nota del CSC per porre un freno a questa situazione paradossale è una sola: “Lo scudo anti-spread è l’unico rimedio efficace. Ma va profondamente ridisegnato rispetto alla versione attuale, assegnandogli molte più risorse (idealmente dovrebbero essere illimitate) e attribuendone la gestione discrezionale e unilaterale alla BCE, che vigila sul rispetto dei programmi di stabilità concordati con la Commissione Europea”. Solo in questo modo, prosegue la nota: “…possono essere premiati i comportamenti virtuosi e sanzionati, attraverso la caduta della protezione dello scudo eventualmente decisa dalla BCE, quelli opportunistici e devianti”.

L’importanza dello spread in relazione a prestiti e finanziamenti è ben spiegata nella nota del CSC. Infatti in Italia i titoli di Stato rappresentano il punto di riferimento per l’intero sistema finanziario, per cui il loro eccessivo rendimento finisce per condizionare offerta e domanda di credito, erogato sia dalle banche che dagli altri operatori del settore dei finanziamenti.
La normalizzazione dei livelli dello spread, secondo i calcoli del CSC, potrebbe innanzitutto portare a una maggior fiducia generale nel Paese e, nel giro di tre anni e senza considerare pienamente gli effetti positivi di una significativa riduzione della stretta sul credito, a un +0,9% di PIL, un +3,7% negli investimenti e un +0,6% di consumi aggiuntivi, 144.000 posti di lavoro in più, una riduzione di 2,4 punti di PIL del deficit pubblico e di 6,9 punti di PIL del debito pubblico.

 

Fonte dati: www.confindustria.it

Data articolo: 20/07/2012


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